Didoo

Due o tre cose sull’IA Summit 2010

(In ordine sparso…)
E’ stato un summit un po’ strano, che viaggiava fra alti e bassi, anche se le mie solite gaffe e le frecciate all’amico (almeno da parte mia!) Alberto Mucignat l’hanno fatto più simile ai precedenti.

Sicuramente l’essere stato relatore, oltre che spettatore, non ha contribuito alla concentrazione, e i problemi di logistica casa-hotel-summit-hotel-centro-hotel-summit-centro-hotel-casa non hanno aiutato.

Pur essendo i relatori strettamente “pomodorati” dal committee, problemi vari di natura tecnica hanno compresso molto i tempi, specialmente per le discussioni e i confronti (in genere la parte più interessante di questi incontri fra professionisti) che dunque si sono spesso svolti fra piccoli gruppi “autogenerati” e quindi non sono stati condivisi con altri (mi ci metto io per primo, fra i colpevoli).

Una cosa piacevole è stata arrivare e salutare e sentirsi riconosciuti e salutati da un sacco di gente. Ormai sono di famiglia, e la cosa non può che farmi piacere (o dovrebbe invece farmi preoccupare? bah!) tantopiù che molte delle persone che ho re-incontrato sono un’ottima compagnia con cui passare le serate, come Federico Scotti o Elia Contini e a queste se ne sono aggiunte altre, fra cui Leonora, grande fotografa e persona davvero speciale.

Dal punto di vista professionale, sicuramente la cosa più evidente è che finalmente gli IA cominciano a sentire la necessità di essere meno “invisibili” (mai una mia slide fu più profetica): sia nell’intervento di Christian Crumlish che solo recentemente ha cominciato a definirsi pubblicamente IA, sia nell’intervento di Jason Hobbs che ha sottolineato con un video come non sia facile capire “cosa fa un IA”, che nel keynote conclusivo di Andrew Hinton in cui molto si è ragionato su “chi sono e cosa faccio” e anche in molte altre presentazioni, dicevo il filo comune è stata la presa di coscienza che l’IA deve assumere un ruolo più attivo, meno da piccola biblioteca polverosa e più da “human interaction design” (source: Jason Hobbs).

Per concludere, il mio voto per la miglior presentazione va all’italianissimo Federico Fasce che ha saputo tenermi con il fiato sospeso fino alla fine della sua presentazione (davvero “engaging”!) anche solo dal punto di vista della grafica e della composizione.

PS: il mio talk? ne parlo fra poco.

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