Didoo

Seduti su un giacimento

Venerdì scorso sono stato alla Triennale di Milano, per visitare la mostra “TDM5: Grafica Italiana“. Questa mostra, dedicata alla storia della comunicazione e del design italiano negli anni che vanno dagli inizi del ventesimo secolo fino ai giorni nostri, è stata l’occasione per vedere raccolti e esposti fianco a fianco i migliori esempi di design che siano mai stati prodotti in Italia nell’ambito della tipografia, dell’editoria (dalle copertine di libri alle riviste ai magazine), della comunicazione pubblicitaria (dai manifesti alla pubblicità sui giornali agli spot televisivi) e del brand aziendale (dai loghi ai manuali di stile al packaging dei prodotti).

La cosa che più mi ha colpito è stata la qualità immensa del lavoro che avevo sotto gli occhi: la fantasia, la capacità di sperimentare, di andare oltre le convenzioni, di creare e di inventare marchi, stili grafici, linguaggi completamente nuovi, che sarebbero arrivati fino ai giorni nostri. Parliamo di gente come Albe Steiner, Bruno Munari, Armando Testa o Massimo Vignelli. Parliamo di Olivetti, ENI, Barilla, Einaudi, Pirelli, Rinascente, Coop.

E allora mi è tornata alla mente la frase di apertura della mostra, che appare in cima alle scale di ingresso: “La Rete dei Giacimenti del Design Italiano”. E’ proprio così: siamo seduti su un giacimento (di conoscenza, di esperienza, di “saper fare”) che da solo potrebbe essere fonte di ispirazione per i prossimi cento anni. E non lo sappiamo!

In poco più di sette stanze, c’era tutto quello che ci può occorrere: tipografia, colori, impaginazione, griglie, ritmi, movimento, proporzioni, slogan, copywriting, sperimentazione, contaminazione dei generi, innovazione, stile, bellezza, qualità, emozione.

Erano anni in cui gli studi grafici e le agenzie pubblicitarie richiamavano giovani e professionisti da tutto il mondo, rappresentavano l’elite del design internazionale, erano  i modelli da seguire, da cui andare per poter imparare. E non ho potuto far altro che domandarmi: che è successo? dove sono andate a finire queste personalità e capacità, questi “skill” e questo “know-how” si direbbe oggi? Perché oggi anziche richiamare i migliori designer dal mondo, li lasciamo andare via? E mi ci metto anche io, se volete: perché Area Web non richiama gente dall’estero, cosa faccio io per essere (anche solo lontanamente) ciò che queste agenzie sono state negli anni del dopoguerra? In fondo anche allora le risorse scarseggiavano, eppure nonostante ciò (o proprio forse grazie a questo, la famosa “fame”, gli “occhi della tigre”) riuscivano a produrre tutte quelle meraviglie che stavo osservando. Forse addirittura è stato grazie a loro se c’è stato il boom economico in Italia.

La cosa bella poi era che non stavamo parlando di arte, di pittura e scultura. No, stavamo parlando di design industriale, di prodotti di consumo, di marchi aziendali, di manifesti pubblicitari, di copertine e imballaggi. Arte “bassa” se volete, ma maledettamente bella, credetemi.

Sono uscito dalla mostra con la testa che girava vorticosamente, piena di idee, di colori, di sensazioni positive, stupefatto per quello che avevo visto. E allo stesso tempo un po’ malinconico, perchè mi sono reso conto di sapere davvero così poco – praticamente nulla – di questo periodo d’oro del design italiano. Ed è un vero peccato, sia dal punto di vista intellettuale che da quello lavorativo.

In ogni caso, consiglio a chiunque ne abbia occasione di fare una visita alla mostra, assolutamente da non perdere secondo me (anche per lo spettacolare allestimento, curato da LeftLoft, davvero molto bello, oserei dire perfetto). Rimarrà aperta fino a fine febbraio 2013, quindi c’è ancora tempo.

Alcune immagini della mostra:

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